Aneurisma cerebrale

L’aneurisma cerebrale o intracranico è la dilatazione di un vaso arterioso all’interno del cervello, che può rompersi e causare un’emorragia subaracnoidea. È utile analizzare com’è fatta la struttura in cui ciò può avvenire. 

Com’è fatto il sistema nervoso centrale ?

Il sistema nervoso centrale (SNC) è composto da questi elementi:

  • cervello, a sua volta costituito da sostanza bianca (fibre nervose) e sostanza grigia (cellule neuronali)
  • midollo spinale

Li circondano le meningi, membrane i cui strati sono così distinti (dall’esterno all’interno): 

  • dura madre, dove i vasi sanguigni alimentano il cranio
  • aracnoide
  • pia madre, al cui interno i vasi nutrono la superficie del sistema

Sono quattro le arterie che irrorano il cervello: due carotidi interne e due vertebrali posteriori. Esse si uniscono nell’arteria basilare, che vascolarizza diversi elementi: cervelletto, ponte, orecchio interno, talamo, ipotalamo. 

Aneurisma cerebrale: cause, fattori di rischio e sviluppo

In genere, l’aneurisma cerebrale si sviluppa nello spazio subaracnoideo, ovvero quello fra pia madre e aracnoide, dove fluisce il liquido cerebrospinale. La sua dimensione può spaziare da 0,5 cm a 2,5 cm. Quando questo limite di grandezza viene superato, si parla di aneurismi giganti, particolarmente rischiosi e difficili da trattare. L’aneurisma cerebrale si forma, cresce ed eventualmente si rompe per cause ancora non accertate, ma si possono considerare questi fattori di rischio, soprattutto nei soggetti di sesso femminile:

  • ipertensione
  • fumo e abuso di alcol
  • predisposizione genetica
  • traumi vascolari
  • infezioni del sangue

Sono gli aneurismi cerebrali a provocare il 90% delle emorragie subaracnoidee: queste sono dovute alla rottura della sacca aneurismatica e l’emorragia è tanto maggiore quanto più grande è l’apertura formatasi. Il rischio di rottura è sempre più alto man mano che le dimensioni dell’aneurisma aumentano. In genere, si considera rischio molto basso quando le dimensioni sono al di sotto dei 0,7 cm, sebbene siano state osservate emorragie anche in questi casi. 

Aneurisma cerebrale: i sintomi

Molto spesso l’aneurisma cerebrale non dà sintomi premonitori: al contrario, dal momento che la dilatazione aumenta lentamente, esso non comporta particolari segni e può essere scoperto anche solo incidentalmente durante esami di routine. Questo vale soprattutto per gli aneurismi non rotti, che possono restare silenti per lungo tempo. L’emorragia subaracnoidea da aneurisma cerebrale può presentarsi con sintomi come:

  • cefalea, il sintomo più diffuso che mette in allarme il paziente, talvolta accompagnata da vomito
  • crisi epilettiche
  • fotofobia e difficoltà visive
  • rigidità del collo
  • deficit neurologici

Si utilizza la scala di Hunt ed Hess per classificare l’aneurisma cerebrale in base alla gravità delle sue manifestazioni:

  • asintomatico, lieve cefalea e lieve rigidità del collo
  • cefalea moderata o severa, rigidità del collo, paralisi dei nervi cranici
  • sonnolenza o confusione, minimi deficit neurologici
  • sopore, emiparesi
  • coma

Aneurisma cerebrale: la diagnosi

Come si è accennato, un aneurisma cerebrale non rotto può anche essere individuato durante una risonanza magnetica eseguita per altre indagini. Se invece il paziente lamenta sintomi connessi all’aneurisma, il medico procede con un esame obiettivo, mirato a comprendere stile di vita e storia familiare della persona. In seguito, si ricorre agli esami strumentali, che consentono di escludere o accertare la presenza di un aneurisma cerebrale. Oltre alla risonanza magnetica, si può procedere con: 

  • angio TAC, ovvero l’indagine dei vasi sanguigni con tomografia assiale computerizzata (attraverso radiazioni ionizzanti con cui si ottengono immagini tridimensionali)
  • angio RM, che consente di analizzare i vasi sanguigni di una determinata parte del corpo
  • angiografia cerebrale, tipologia di angiografia dedicata esclusivamente ai vasi sanguigni dentro e intorno al cervello. Si esegue con liquido di contrasto somministrato attraverso il sistema arterioso

Se nella famiglia sono presenti casi di aneurisma cerebrale, è consigliabile sottoporsi a screening di prevenzione. 

Aneurisma cerebrale e conseguenze possibili

Se l’aneurisma cerebrale genera un’emorragia subaracnoidea, le conseguenze possono includere:

  • ictus 
  • coma
  • morte

Una complicazione particolarmente temuta dell’emorragia subaracnoidea è l’idrocefalo acuto (accumulo rapido di liquido cerebrospinale) e piuttosto comune è invece l’idrocefalo cronico (accumulo lento). 

Il trattamento dell’aneurisma cerebrale

Al momento della rottura dell’aneurisma cerebrale, il paziente deve immediatamente beneficiare di assistenza medica. L’intervento chirurgico, da valutare in base alla situazione, può prevedere diverse opzioni:

  • clipping, l’applicazione di una clip al collo dell’aneurisma previa craniotomia. Questo intervento ostacola il flusso sanguigno verso l’aneurisma e si evita quindi una seconda rottura
  • coiling endovascolare, che consiste nel posizionamento di spirali in platino dentro l’aneurisma stesso. L’apertura viene così bloccata e il sangue non può più fluirvi

Inoltre, sono previste anche terapie di assestamento, come l’assunzione di analgesici, farmaci calcio-antagonisti o antipertensivi e antiepilettici. Per scongiurare l’idrocefalo, si procede con il drenaggio del liquor. Nel caso l’emorragia abbia influito su alcune funzionalità, come quelle del linguaggio e del movimento, si sceglie la riabilitazione con logopedia o fisioterapia

In alcuni casi, anche un soggetto con aneurisma non rotto può avere necessità di intervento tempestivo, proprio per prevenire la rottura e l’emorragia. Se invece il rischio appare minimo, il trattamento consiste nel monitoraggio periodico. Molto dipende dall’età, dalla dimensione e dalla localizzazione dell’aneurisma, così come naturalmente dallo stato di salute generale e dalla storia familiare. 

Dott. François LECHANOINE

Neurochirurgo Senior Consultant, specialista in chirurgia Cerebrale, Vertebrale mini invasiva e pediatrica, presso il Maria Cecilia Hospital di Cotignola, il Piccole Figlie Hospital di Parma e la Domus Nova di Ravenna, ospedali di alta specialità, accreditati S.S.N. e convenzionati con la maggior parte dei circuiti assicurativi internazionali.

Segreteria: aperta da Lunedì al Venerdì dalle 09:30 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00

 348 916 3317

Studi: Milano, Roma, Napoli, Caserta, Bari, Mola di Bari, Domegge di Cadore, Ravenna, Castrocaro Terme, Fermo.
 

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Endoscopia ipofisaria transnasale

Adenoma ipofisario: l’intervento

Per affrontare questo tumore benigno dell’ipofisi è spesso necessario prevedere un intervento chirurgico, a meno che non si tratti di un adenoma ipofisario che secerne prolattina oppure ormone della crescita. In tali casi, può essere sufficiente un semplice follow-up oppure una terapia farmacologica, eventualmente accompagnata anche dalla radioterapia.

Dal momento che il benessere del paziente dipende anche dai tempi e dai modi di ripresa, si privilegiano tipologie di intervento meno invasive possibile. Fra queste, la chirurgia endoscopica transnasale transfenoidale.

La chirurgia endoscopica transnasale transfenoidale

Questa tecnica mininvasiva consente di raggiungere l’adenoma ipofisario tramite la cavità nasale e lo sfenoide, l’osso dalla caratteristica forma di farfalla che si trova alla base del cranio. Vi vengono inseriti l’endoscopio, che permette di visualizzare l’interno della cavità, e gli strumenti chirurgici che rimuoveranno l’adenoma. Non è dunque necessaria alcuna incisione sul viso o sul cranio per raggiungere l’obiettivo.

Scopo finale dell’operazione è infatti l’asportazione più compiuta possibile dell’adenoma ipofisario senza intaccare la funzionalità dell’ipofisi, ghiandola endocrina essenziale per l’organismo, o danneggiare i nervi ottici. Subito dopo l’intervento, l’adenoma viene analizzato in laboratorio per comprenderne a fondo la natura.

Video esplicativo della chirurgia ipofisaria endoscopica (in francese)

Grazie al Dott. Martin Dupuy, collega neurochirurgo del reparto di neurochirurgia della Clinique de l’Union (Toulouse, France), per aver realizzato e condiviso questo video.

Dopo l’intervento: decorso e complicanze

L’intervento è poco doloroso e l’effetto collaterale primario, ma in ogni caso temporaneo, è la percezione di avere il raffreddore: sensazione di naso chiuso, modesto mal di testa, secrezione dal naso.

In mancanza di complicanze particolari, la degenza è mediamente di 4-5 giorni. In alcuni casi, l’intervento può essere seguito da radioterapia.

Come ogni operazione chirurgica, anche nel caso della chirurgia endoscopica transnasale transfenoidale possono esservi dei rischi. Fra quelli generali sono compresi infezione, sanguinamento, flebite, embolia polmonare e reazioni allergiche all’anestetico. I rischi specifici per questo intervento sono invece:

  • fistola liquorale, che si forma quando attraverso l’apertura dovuta all’intervento fuoriesce il fluido presente nelle meningi intorno al cervello. È possibile identificarla nei giorni immediatamente successivi: dalle narici sgorga liquido limpido che può essere facilmente scambiato per acqua. In questi casi, di rado si opta per un altro intervento chirurgico e può invece risultare opportuna una puntura lombare. Alla fine dell’operazione, proprio per scongiurare questa eventualità, le meningi vengono accuratamente chiuse, talvolta anche grazie al prelievo di grasso dall’addome o dalla coscia
  • insufficienza ipofisaria: se l’ipofisi non produce più uno o più ormoni, si rende necessaria una terapia farmacologica sostitutiva, che può diventare anche permanente
  • diabete insipido, rara patologia metabolica che si manifesta con un disturbo nella regolazione della sete e nella produzione di urina. Si verifica in caso di danno alla parte posteriore dell’ipofisi e può richiedere una terapia sostitutiva
  • meningite: questa infezione è secondaria a una rottura meningea e in genere viene trattata con antibiotici appositi
  • disturbi visivi: se l’adenoma ipofisario ha compromesso il nervo ottico, la vista potrebbe risentirne
  • epistassi: le mucose si irritano a causa del passaggio degli strumenti chirurgici, dando luogo a un sanguinamento nasale ritardato. È più frequente nei pazienti che soffrono di disturbi emorragici o assumono farmaci che fluidificano il sangue
  • sinusite e infezione delle cavità nasali
  • lesione vascolare, in quanto le principali arterie dirette al cervello sono particolarmente vicine alla zona su cui si interviene

Si tratta di complicanze trattabili, anche se naturalmente impattano sulle tempistiche di degenza. 

Cosa fare dopo l’intervento

In seguito all’intervento si possono riprendere le proprie regolari attività. Dopo 10 giorni, si deve eseguire un lavaggio delle cavità nasali e per tutto il mese successivo bisogna portare avanti alcune piccole precauzioni:

  • non soffiarsi il naso
  • non starnutire a bocca aperta
  • evitare sforzi con la glottide chiusa
  • non mettere la testa sott’acqua 
  • evitare contesti in cui è presente molta polvere

Per monitorare al meglio il decorso post-operatorio, si consiglia un primo controllo dopo 3 mesi o almeno entro i 6 mesi successivi. In alcuni specifici casi, è bene sottoporvisi anche prima. La visita comprende:

  • valutazione del funzionamento dell’ipofisi con il supporto di un endocrinologo
  • risonanza magnetica
  • bilancio oculistico